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Whisky Giappone

La nostra selezione dei migliori Whisky giapponesi

Whisky Giapponesi - La migliore selezione Online

Il Whisky giapponese è relativamente recente risale infatti al 1923 periodo in cui la collaborazione di due uomini: Torii e Taketsuru diedero inizio alla costruzione della prima distilleria nella valle di Yamazaki. Essendo due caratteri forti e con idee innovative il sodalizio durò poco infatti decisero di intraprendere strade diverse creando ognuno il proprio marchio, Suntory per il primo, Nikka per il secondo. Ancora oggi queste due distillerie sono le principali produttrici di whisky giapponesi, ma sempre in eterna competizione: ognuna delle due è completamente autonoma.

Il Territorio

È risaputo che l’ubicazione della distilleria Yamazaki, a Shimamoto, è stata scelta per riprodurre scrupolosamente le condizioni climatiche scozzesi, in questa zona sono presenti ben tre fiumi con acqua purissima e a sufficienza per produrre whisky giapponesi. Oltretutto è proprio questa stessa acqua, di ottima qualità, che il creatore della cerimonia del tè è andato a cercare per aprire la sua prima Casa del tè. 


Storia del Whisky Giapponese


Nel settembre 2014 Jim Murray, uno dei più influenti critici di whisky del mondo incorona lo Yamazaki Sherry Cask 2013 come miglior whisky al mondo della sua Whisky Bible, la guida più completa al mondo di degustazioni di whisky. 

Questa vittoria accende un riflettore sui prodotti provenienti dal Giappone: solo pochi appassionati conoscevano e avevano avuto la possibilità di assaggiare alcuni dei rari prodotti di quella nazione. Le reazioni sono immediate: la domanda di whisky giapponese cresce enormemente, i prezzi aumentano tanto da mettere a dura prova gli stock delle distillerie giapponesi. 

La domanda è aumentata talmente tanto che le distillerie hanno esaurito gli stock e hanno sostituito il core-range (con età dichiarata) con prodotti senza età dichiarata, quindi più giovani rispetto al passato. Una vecchia distilleria giapponese, Karuizawa, chiusa agli inizi del 2000’, mette in vendita poche bottiglie dalle scorte rimaste nei magazzini: queste bottiglie sono estremamente ricercate e il loro prezzo medio è aumentato di 8-10 volte rispetto alle prime uscite, superando spesso le quattro cifre. Si può confrontare Karuizawa alle grandi distillerie chiuse di Scozia, quindi Brora e Port Ellen.

Lo stesso Yamazaki Sherry cask 2013, partito da un prezzo di circa 180 sterline, oggi si può acquistare per oltre 6000 euro.


E’ riduttivo pensare che le valutazioni di un singolo uomo abbiano potuto modificare così radicalmente le esportazioni di whisky giapponese: con tutta probabilità Jim Murray ha semplicemente seguito un sentore comune, ovvero che il whisky giapponese fosse in grado di rivaleggiare ad armi pari con whisky dle mondo, Scozia in primis.


La storia del whisky giapponese raggiungerà fra poco i cento anni di età ma, come molte attività della nazione di origine, racconta prima di tutto la passione per il perfezionamento delle tecniche di distillazione provenienti da altri paesi, in questo caso la Scozia.


La prima nota storica relativa a whisky in Giappone risale al 1853, quando Matthew Perry, un alto comandante della flotta degli Stati Uniti, servì del whisky a ufficiali giapponesi sulla propria nave. Il tentativo di Perry fu quello di convincere i giapponesi ad aprirsi al mondo, inaugurando importazioni ed esportazioni di prodotti, whisky incluso. Nel 1856 Perry regalò una botte di whisky alla famiglia imperiale, come si evince da dipinti dell’epoca ancora oggi conservati in Giappone. Le trattative non si conclusero positivamente e il Giappone rimase isolato fino alla Seconda Guerra Mondiale. Ad ogni modo il whisky piacque, tanto che alcune aziende farmaceutiche misero in commercio alcuni prodotti al sapore di whisky, miscelando alcol puro ed essenze floreali.


Il secondo evento da ricordare avviene nel 1918: Kihei Abe della Settsu Shuzo, un’azienda di distillazione di Osaka, inviò un suo dipendente, Masataka Taketsuru, in Scozia per studiare l’arte della distillazione e per carpire i segreti delle distillerie scozzesi. La diffidenza era enorme verso Masataka: un giapponese in Europa era una cosa rara e gli scozzesi erano molto gelosi dei propri segreti. Il giovane non si perse d’animo e studiò chimica a Glasgow prima di alcuni periodi di tirocinio presso distillerie come Hazelburn e Longmorn. 

Taketsuru si sposò con Rita Gowan, la sorella maggiore di Campbell, ragazzo che Masataka istruiva nell’arte del Judo. 


Il ritorno in Giappone per la coppia fu difficoltoso: le famiglie non erano d’accordo sull’unione e l’azienda che aveva inviato il giovane in Scozia aveva abbandonato i piani relativi al whisky. All’inizio degli anni ’20 Shinjiro Torii, proprietario della ditta Suntory, stava pensando alla costruzione di una distilleria di whisky: aveva previsto una maggiore apertura verso il mondo esterno e aveva pensato di coinvolgere tecnici scozzesi per il proprio progetto. Avendo saputo dell’esperienza di Taketsuru in terra scozzese, lo contattò e insieme misero in piedi la prima vera e propria distilleria giapponese di whisky, Yamazaki, aperta nel novembre del 1924.

Il primo prodotto, chiamato Shirofuda e lanciato nel 1929, fu un flop commerciale perché troppo affumicato per il gusto giapponese. Poco più avanti, nel 1937 il lancio del nuovo Kaku-bin fu invece ben accolto e da allora Yamazaki si impose nel mercato locale e, più tardi, internazionale. Un anno prima, nel 1936, vide la luce la prima distillazione per un’altra distilleria, Yoichi, creata in Hokkaido dallo stesso Taketsuru dopo aver concluso il contratto con Suntory. Secondo Masataka, in Hokkaido c’erano le condizioni ideali per una distilleria sullo stile scozzese. 


Nel 1946 Sasanokawa decide di ampliare la propria distillazione anche con il whisky e diede vita a Yamazakura. Dopo Yoichi, Taketsuru fondò Miyagikyo nel 1969, dieci anni prima di morire: l’azienda da lui fondata, Nikka, è ancora oggi una delle principali al mondo con prodotti apprezzati ovunque. Nel 1973 anche il gruppo Suntory decise di raddoppiare gli stabilimenti fondando Hakushu; dello stesso anno sono le fondazioni di Chita e di Kirin. Nel 1984 viene fondata White Oak e l’anno successivo la distilleria Mars, fino ad arrivare nel 2008 con la micro-distilleria Chichibu. Tutte le distillerie nominate sono ancora in funzione e distillano sia orzo sia grano; spesso i cereali vengono importati dalla Scozia e talvolta alcuni blend erano prodotti con botti di whisky scozzese. La tendenza generale è la produzione di whisky poco o per nulla torbati ma esistono bottiglie molto torbate in grado di competere con il livello scozzese.


Un’altra storia riguarda Karuizawa: questa distilleria è stata fondata nel 1955 vicino al vulcano Asama e ha prodotto whisky fino al 2001, momento in cui è stata chiusa. Nel 2011 lo stock rimanente è stato comprato da Number One Drinks, un’azienda britannica che rilascia prevalentemente botti singole, estremamente rare e costose.

Altre distillerie note ma oggi chiuse sono: 

  • Hanyu, anche questa piuttosto ricercata dai collezionisti; 

  • Kawasaki, chiusa nel 2006 ma i cui stock sono di proprietà di Ichiro Akuto, il fondatore di Chichibu che rilascia alcuni imbottigliamenti annuali.


Oggi l’esportazione di whisky giapponesi è limitata e incentrata su prodotti giovani, di solito No Age Statement. I blend giapponesi sono molto apprezzati e richiesti anche nella mixology. Le bottiglie con età dichiarata o con qualche anno sulle spalle sono ricercate e tendenzialmente costose.


Il Giappone è un grande importatore di whisky; i whisky bar sono diversi e spesso molto ben forniti di bottiglie scozzesi antiche. Il bevitore giapponese, oltre a bere whisky liscio, si diletta con whisky e acqua, arrivando a consumare questo mix durante i pasti. La diluizione è piuttosto spinta, arrivando a 9 parti di acqua e una sola di whisky, pratica di difficile comprensione in Europa o America. I collezionisti sono molti e molto ben informati; le personalità del whisky scozzese sono molto rispettate. E’ usanza giapponese, presso i whisky bar, l’acquisto di una bottiglia personale targata con il nome dell’acquirente che il bar si impegna a conservare per il singolo cliente.



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